Brosso (Breuss in piemontese) è un comune italiano di 394 abitanti e si trova in Piemonte in Valchiusella. Fa parte della città metropolitana di Torino.

Anticamente, la borgata aveva particolare importanza rispetto alle altre, tant’è vero che in epoca medioevale e fino ad un recente passato, la Vallata intera era detta Val di Brosso, o meglio “Valle de Broxa” ( A. Bertolotti: “Passeggiate nel Canavese”, Vol V ). Il territorio fu popolato fin dalla preistoria; stando a quanto afferma Catone, furono i Salassi, popolazione di origine celtica, a stanziarsi in quest’area geografica: per fabbricare gli attrezzi indispensabili alla caccia ed al lavoro dei campi, essi impararono ad estrarre ed utilizzare il minerale che affiorava sulle pendici delle montagne.

I Salassi eressero i primi nuclei abitativi, lasciando tracce del loro linguaggio nella toponomastica locale: secondo Antonino Bertolotti, infatti, Brosso significa “paese sul colle” o “sul monte”, poiché la radice “Bro” indicava proprio “monte, colle”; invece un altro storico locale, G.F. Saudino (“Considerazioni storiche sulla Valle di Brosso”), ritiene che il nome del paese si collegasse ai termini “oro di coppella”, in quanto gli antichi scambiarono per oro la pirite di cui erano ricchi i monti. Dopo anni di guerre e di resistenza accanita, i Salassi dovettero soccombere alla conquista romana e si può supporre che proprio l’esistenza del minerale, di cui Roma aveva grande necessità per le sue guerre di conquista, sia stato il movente principale dell’occupazione.

Gli abitanti delle Val di Brosso inventarono e coltivarono un metodo semplice per curare il minerale dalla miniera alla fornace e fabbricare il ferro senza passare dalla fusione della ghisa.
La tecnologia usata era quella del “Basso Fuoco,” nella versione locale detta “alla Brossasca”, che era suddivisa in varie fasi.
L’estrazione del minerale (ematite) dai “crosi” era condotta generalmente a livello famigliare.
L’ematite, spesso impura per presenza di pirite, veniva estratta mediante piccone e portata a spalle fino all’imbocco della galleria. Qui, utilizzando il lavoro delle donne e dei bambini, il minerale veniva selezionato e frantumato per facilitarne il trasporto ed accantonato all’imbocco della minier per lungo tempo.

Dopo l’acquisto da parte dei mastri ferrai, veniva trasportato al luogo dei successivi trattamenti a dorso di mulo a cura dei mulattieri di Fiorano. Il primo trattamento che riceveva il materiale era un arrostimento in fornace mediante legna secca accatastata alla base del tino della stessa. Dopo
l’arrostimento, il materiale subiva un pestaggio atto a ridurne la dimensione da decimetrica a centimetrica.
La fase successiva era il lavaggio che consisteva nella permanenza del minerale sminuzzato in grandi fosse detti “laghi” per periodi relativamente lunghi. La riduzione in ferro avveniva nei forni alla Brossasca;
consisteva nel mettere nel forno carbone di legna, minerale e fondente ( forse calce, pietre calcaree od argilla) ottenendo, con temperature relativamente basse, un materiale pastoso che veniva martellato per essere amalgamato. Ridotto in pani, il ferro veniva poi venduto ai fabbri. Questo tipo di ferro era di poc pregio per la presenza di soffiature e di scarse proprietà meccaniche ed era usato per attrezzi agricoli, inferiate, strumenti militari, ecc…. e fu fornito alle officine del Regno Sabaudo fino all’inizio del XIX secolo.
Verso la fine del XVIII secolo, per mancanza di combustibile e soprattutto per affermazione della tecnologia “dell’alto forno”, a cui l’ematite poco si adatta, la produzione del ferro con la tecnologia del “basso fuoco” subì un notevole rallentamento fino a cessare completamente nei primi decenni del 1800.

Le testimonianze di questo lungo periodo di lavoro si possono vedere lungo la “Strada delle Vote”.
Sono ancora visibili diverse fornaci di arrostimento, laghi per il lavaggio, canali di convogliamento dell’acqua e ruderi di fucine con i supporti dei magli e mortai di frantumazione.
Recenti studi compiuti in loco hanno riportato alla luce reperti che convalidano i vari scritti esistenti sull’argomento; tali studi sono raccolti nel volume: “Mastri ferrai in terra canavesana”di Marco Cima.
Mentre l’industria del ferro moriva, cominciava ad affermarsi un’altra industria che sfruttava la pirite di ferro, considerata prima come impurità e perciò gettata nelle discariche.
Nacque così, nel 1769 in regione Bore, la fabbrica del “vetriolo verde” (solfato di ferro).
In essa si sottoponeva a torrefazione la pirite, trasformandola in solfato di protossido di ferro; il materiale veniva torrefatto, liscivato e si trasformava in solfato di ferro che trovava un esito commerciale nell’industria tintoria.
I primi proprietari della fabbrica, nonché concessionari delle miniere di Brosso, furono in società: il conte di Valperga ed il signor Francesco Chinnino, maggiore di fanteria delle truppe del Rè.

Nel 1824 la concessione passò alla famiglia Ballauri e nel 1839 definitivamente ai fratelli Sclopis che erano già proprietari in Torino di
una fabbrica di acido solforico.
L’industria dell’acido solforico, in cui i fratelli Sclopis, in sostituzione dello zolfo, impegnavano le piriti di Brosso, portò ad uno sfruttamento più razionale delle miniere. Non presentando più convenienza la produzione del vetriolo verde, la fabbrica venne chiusa e nel 1872 demolita; fu costruito, sulla stessa planimetria, il “Palazzo Sclopis”, residenza permanente dei concessionari.

Per lo sfruttamento razionale delle miniere furono adottati nuovi mezzi di trasporto viaggianti su rotaie. Costruirono piani inclinati (fra
cui uno di 450 metri, il più lungo d’Europa) e ferrovie funicolari aeree (una delle quali, lunga 3500 metri, trasportava il materiale d’estrazione da Valcava, a 402 metri, fino alla stazione ferroviaria di Montalto Dora a 247 metri). Inoltre, in regione Valcava, fu costruito uno stabilimento speciale per la preparazione meccanica dei materiali e per l’arricchimento delle piriti povere di zolfo.
La ricerca sistematica di materiale e l’apertura di nuove gallerie a diversi livelli di altezza, creò una rete di tunnel che raggiunse i 180 Km. Venne costruito un bacino idrico in località Gin che immagazzinava l’acqua
dell’Assa e, tramite una condotta forzata, alimentava la centrale elettrica di Valcava. Questa, oltre a soddisfare il fabbisogno delle miniere, fornì energia elettrica al comune di Brosso fin dal 1906.
Fu aperta la galleria delle Fortune, che dalla riva dell’Assa arriva fin sotto Cavallaria.
Il trasporto del materiale dalle Fortune al piano inclinato veniva effettuato mediante trenino trainato da muli.
Alla partenza del piano inclinato, oltre alla stazione di manovra dei carrelli, furono costruite una polveriera ed una fucina per la riparazione degli attrezzi della miniera.
In Bore furono edificati un locale per i sorveglianti, un sito per i compressori che fornivano l’aria ai martelli pneumatici e alle gallerie senza fornelli e due grandi tubazioni per le forniture dell’acqua.
Al livello delle Fortune, sul lato opposto del torrente, si vedono gli imbocchi di tre gallerie dette della ”Pietra Rotonda “; sempre allo stesso livello parte una galleria che costeggia il corso del torrente e ai lati del piano inclinato iniziano altri due tunnel che intersecano la galleria delle Fortune.

In zona Bore, oltre alla San Giuseppe e alla Santa Eugenia , sulla strada che porta alla ” Palina ” vi è la Santa Maria dal cui imbocco il materiale veniva inviato al piano inclinato mediante due teleferiche. Sopra l’entrata della San Giuseppe, sulla collina, sono ancora visibili i ruderi del canale di scorrimento che convogliava il materiale dalla località Drovan a Bore, mediante slitte di legno trainate a mano.
Leggermente più in basso del punto in cui parte la strada per Bore, c’è la regione Sterciassa dove si trova, ancora ben visibile, l’abitazione dei caporali che avevano il compito della sorveglianza delle miniere.
Scendendo, dal livello delle Fortune, nel vallone dove funzionava il piano inclinato, si vedono gli imbocchi della Sapinera e delle Trovetto che nel 1924 raggiungevano in perpendicolare la zona Gin. Più in basso, oltre
il torrente, c’è la galleria Assa nella quale, per mettere alla luce il banco di pirite, fu necessario scavare un “traverso banco” nella roccia viva, operazione che fece registrare un incidente mortale. Sempre a destra orografica del torrente,sopra l’abitato di Calea, c’è il cantiere “Salvere” con la Vola Gera,la Santa Barbara, la Tamietto e relativi ribassi fino al livello 318.
L’attività mineraria nel vallone dell’Assa fu talmente intensa che occupò per un lungo periodo più di cinquecento persone, poi l’importazione di pirite più ricca di zolfo e meno costosa e metodi estrattivi ormai obsoleti provocarono una graduale riduzione del personale fino alla chiusura delle miniere.

L’attività mineraria cesso definitivamente,dopo venti secoli di lavoro, nel 1964 quando ne aveva la concessione la società Montecatini.